Secondo l’ultimo rapporto Ispra l’88% dei comuni è a rischio di frane o alluvioni. Sotto minaccia c’è anche il nostro patrimonio artistico, archeologico e architettonico. Compresi i centri storici di Roma e Firenze

di Federico Formica

Il dissesto idrogeologico riguarda tutti. In Italia, infatti, sono pochi i cittadini al riparo da frane e alluvioni. Considerando tutti i livelli di rischio nell’88% dei Comuni italiani non si può far finta di nulla: che sia più o meno probabile, la possibilità esiste. In sette regioni (Valle d’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata) non c’è un Comune esente da rischi.

Ma il dissesto del nostro territorio coinvolge anche il settore produttivo con 200.000 lavoratori in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata. E in un Paese-museo come il nostro non si salvano neanche i beni culturali: quasi due su dieci, cioè 34.000, sono a rischio frane (per 10.000 la pericolosità è elevata o molto elevata) e 12.500 sono a rischio elevato di alluvione.

L’ultima fotografia della situazione l’ha scattata l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) con il rapporto Dissesto Idrogeologico in Italia presentato oggi. I dati si basano sulle perimetrazioni effettuate da Autorità di bacino, Regioni e Province autonome in tutta Italia. E già da alcuni mesi sono consultabili anche online sulla piattaforma Italia Sicura.

Il rischio frane. Un territorio coperto soprattutto da montagne e colline, e un’urbanizzazione spesso incontrollata con percentuali di abusivismo che nelle regioni meridionali hanno raggiunto anche il 60%. Con queste premesse non sorprende che le frane in corso nel nostro Paese interessino il 7,3% del territorio per un totale di mezzo milione. In questo numero rientrano tutti gli eventi, ma una su tre è classificata “a cinematismo rapido”.

Significa che avanzano molto velocemente: fino ad alcuni metri al secondo. La mappa che riproduce la densità delle frane nella nostra Penisola ripercorre la linea dell’arco alpino e della dorsale appenninica. A parte la Valle d’Aosta, che per le sue dimensioni e la sua orografia fa storia a sé, le regioni più a rischio sono Campania, Molise, Liguria, Emilia Romagna e Toscana. A livello provinciale, Forli-Cesena, Genova e Lucca sono le aree dove la pericolosità elevata e molto elevata è più estesa. In tutto il Paese sono 1,2 milioni i cittadini che vivono in aree a pericolosità elevata e molto elevata.

Il rischio alluvioni. Se l’incubo delle frane interessa quasi tutta la Penisola da nord a sud, a fare i conti con le inondazioni sono soprattutto le regioni del centro-nord. Sulla base delle indicazioni fornite dalle autorità locali l’Ispra ha elaborato tre scenari di pericolosità:
– P3 è la pericolosità elevata: indica le zone dove possono passare tra i 20 e i 50 anni tra un’alluvione e l’altra;
– P2 è la pericolosità media: qui gli eventi possono verificarsi ogni 100 o 200 anni;
– P1 è la pericolosità bassa, dove l’alluvione può verificarsi ogni 300 anni.

La mappa del rischio medio ricalca quasi perfettamente la sagoma dell’Emilia Romagna: qui è soprattutto il Po a destare le maggiori preoccupazioni, con il 45% del territorio a pericolosità P2. Seguono, a grande distanza, Toscana (11%), Veneto (9,6%) e Lombardia (8,5%). Nelle aree esposte al maggior rischio (P3) vivono 1,9 milioni di abitanti.

La cultura sott’acqua. Nel suo rapporto l’Ispra dedica un capitolo anche al rischio che corre l’immenso patrimonio culturale e artistico italiano. Lo scenario che emerge è preoccupante: i beni a rischio frana solo il 18% del patrimonio nazionale, anche se quelli esposti a pericolosità elevata e molto elevata scendono al 5,4%. In diversi casi è in pericolo la stessa sopravvivenza di interi borghi italiani.

Ad esempio Civita di Bagnoregio, nel Lazio, uno splendido paesino arroccato su una rupe di tufo che si sta lentamente sgretolando, con continui distacchi di roccia. Altri interventi di consolidamento sono stati necessari a Todi e Orvieto, in Umbria, e a Certaldo in Toscana. Ma sono circa 1.500, sparsi lungo lo Stivale, i borghi abbandonati nel corso dei secoli a causa del dissesto idrogeologico o di terremoti.
I beni culturali esposti a rischio frane elevato e molto elevato si concentrano soprattutto al Sud (10,8%) e al Centro (6,2%). A livello provinciale Grosseto, Isernia, Campobasso e Rimini sono le aree dove ci sono più beni esposti al rischio più elevato.

Sono 29.000 i beni culturali che rischiano di finire sott’acqua, dei quali 12.500 sono esposti a un rischio elevato. Si trovano soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, Liguria e Veneto. E in molti casi si tratta di città d’arte visitate ogni giorno da turisti di tutto il mondo: le città con il maggior numero di beni culturali a rischio di alluvioni con pericolosità P2 sono infatti Venezia, Ferrara, Firenze, Ravenna e Pisa. Se si considera anche il livello di pericolosità più basso, la mappa si arricchisce di un altro puntino: Roma.

“Per la salvaguardia dei beni culturali – scrive l’Ispra nel suo rapporto – anche lo scenario a scarsa probabilità di accadimento P1 assume una particolare rilevanza, tenuto conto che un evento alluvionale provocherebbe danni inestimabili e irreversibili al patrimonio culturale”.

Nel comune di Roma infatti le zone a maggior rischio si trovano soprattutto in periferia. Tuttavia il centro storico (che comprende anche piazza Navona, piazza del Popolo e il Pantheon) non è esente da rischi. In quest’area a ridosso del Tevere infatti le alluvioni si presentano con un tempo di ritorno superiore ai 300 anni. È improbabile che accada, ma se il Tevere esondasse all’altezza di Ponte Milvio, sarebbero a rischio quasi 2.200 beni architettonici, archeologici e monumentali. Un disastro.

Ancora più probabile (P2, cioè un tempo di ritorno tra i 100 e i 200 anni) è che un’alluvione colpisca Firenze. Del resto è già accaduto nel 1966 quando i danni provocati dall’esondazione dell’Arno furono immensi: il crocifisso di Cimabue in Santa Croce e le migliaia di volumi della Biblioteca nazionale furono forse le “vittime” più illustri, ma i beni esposti al medesimo rischio sono esattamente 1.258.

Il ricordo di quella catastrofe è ancora impresso nella memoria collettiva nazionale, ed è forse per questo che si sta lavorando affinché non si ripeta mai più. Nel Valdarno, a monte di Firenze, si stanno realizzando delle casse di espansione. “Funzionano come delle chiuse – spiega Alessandro Trigila, geologo Ispra e responsabile dell’inventario dei fenomeni franosi in Italia – in caso di piena dell’Arno, parte dell’acqua del fiume viene immagazzinata in queste casse, per poi essere rilasciata quando la piena si è esaurita”.


fonte: http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2016/03/02/news/dissesto_idrogeologico_in_italia_il_fango_minaccia_34mila_beni_culturali-2999149/